
Nel 1982 curavo la sezione sugli strumenti musicali di Alta Fedeltà, rivista mensile di hi-fi degli editori di Motociclismo, che aveva deciso di dedicare spazio alla musica suonata per raccogliere nuovi lettori. A differenza di oggi, negli anni Ottanta le l’informazione aveva le risorse necessarie a mandare uno come me in giro per l’America a raccogliere materiale per riempire pagine. Io non mi feci pregare e organizzai un gran giro attraverso gli States, da New York alla West Coast, facendo tappa ovunque ci fosse qualcosa di interessante sulle chitarre, negozi, liutai e produttori.
Mi ero premunito scrivendo a tutti (all’epoca cominciava ad andare forte il fax) per prendere un appuntamento. Tra i tanti a cui scrissi c’era la G&L, in Fender Avenue a Fullerton (!), che mi inviò immediatamente una risposta positiva: mi aspettavano con piacere il tal giorno alla tal ora.
Il giorno precedente avevo visitato la fabbrica agonizzante di Fender in Valencia Drive, dove avevo però avuto l’opportunità di avere come guida Freddie Tavares, che mi volle con lui a cena in un magnifico ristorante hawaiano.
Fu una serata memorabile, perché Freddie, simpaticissimo, era anche tremendamente arrabbiato col management CBS che a suo dire stava distruggendo l’azienda (e non aveva tutti i torti, Fender avrebbe rischiato il fallimento a brevissimo). Era invece felice del recente arrivo di Bill Schultz e Dan Smith, che conosceva bene e considerava delle figure di gran valore (e in effetti l’avrebbero dimostrato negli anni successivi).
Freddie amava Leo, si sentivano spesso. Quando seppe che il giorno successivo avrei visitato la sua fabbrica mi disse in tutta confidenza quello che già sapevo: le G&L erano strumenti innovativi ed enormemente migliori delle Fender costruite pochi blocchi più in là, quelle Fender CBS tanto scadenti per qualità e suono da contribuire alla nascita della caccia alle Fender costruite “quando c’era Leo”.
Ben pieno di Loco Moco e Lau Lau me ne tornai in hotel, dove venni avvisato che qualcuno di G&L aveva cercato di mettersi in contatto con me.
La mattina successiva chiamai subito e mi venne passato Dale Hyatt in persona, il quale mi avvisò che non avrei potuto visitare la fabbrica per ragioni assicurative, chiedendomi se mi sarei accontentato di scambiare la visita con una chiacchierata con Leo Fender.
E fu così, grazie a una sconosciuta compagnia di assicurazioni che aveva proibito l’accesso di estranei agli impianti, che quel giorno ebbi l’opportunità di incontrare un pezzo di storia della musica.