Parts-casters: il confine sottile tra sperimentazione, restauro e falsificazione

A volte le chitarre, gli amplificatori e, in alcuni casi, gli effetti sopravvivono inalterati al passare del tempo e noi ammiriamo attraverso questi pezzi da museo l’artigianato, i dettagli e i segreti che si celano dietro la loro costruzione.
Ma la maggior parte delle volte ci capita di trovare chitarre e strumenti “player grade” che hanno subito praticamente tutto ciò che si può immaginare, da interruttori aggiuntivi a modifiche della forma del corpo, a diverse finiture, a parti modificate e così via.
Tra le più notevoli e iconiche “partscaster” troviamo la “Blackie” di Eric Clapton, o la “black strat” di David Gilmour, solo per citare probabilmente le due più famose di sempre. Ma ci vengono in mente anche le sperimentazioni di Eddie Van Halen con forme, pickup e finiture, la Telecaster di Andy Summer, le Strat di Stevie Ray Vaughan e molte altre ancora.
Oggi affrontiamo il caso delle chitarre “vintage” che sono state modificate in passato, in alcuni casi più volte, per i motivi più disparati. La maggior parte delle volte accade quando qualcosa sulla chitarra si rompe e lo strumento deve essere riparato.
La prima domanda è: cosa fare? In architettura questa stessa domanda si pone ogni volta che un edificio ha bisogno di un intervento e i diversi approcci possibili sono davvero interessanti, aiutano ad aprire la mente e sono poi applicabili per qualsiasi tipo di restauro.
Una delle forme più antiche di “restauro” è quella che prevede di lasciare che l'”edificio”, o nel nostro caso la chitarra,…  muoia. Sì, questo approccio filosofico ritiene che la cosa migliore da fare sia lasciare che la chitarra diventi “rovina”, e ammirare il suo stato finale alla fine della sua vita. Immaginate la “Number One” di Stevie Ray Vaughan, o l’iconica Strat di Rory Gallagher: nessuno toccherebbe mai una vite su di loro, anche se sono assolutamente un grande esempio di chitarre “sopravvissute” che sono state rielaborate tante volte nella loro vita.

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